Burton nel Paese dei Freaks
Avete mai avuto la sensazione di sentirvi diversi dagli altri? Di
essere fuori posto? In qualche modo, emarginati?
Sì, è vero, siamo tutti diversi nella nostra unicità, ma qualche
volta la nostra “originalità”, il nostro aspetto fisico, le nostre abitudini
personali e persino il nostro credo possono essere d’ostacolo alle relazioni
sociali e generare pregiudizi.
Attraverso i suoi film grotteschi, caratterizzati da creature immaginifiche
(vocabolo in cui rientra tutto ciò che corre tra il bizzarro e il mostruoso), Tim
Burton ci ha sempre fatto riflettere sui temi dell’emarginazione e della
solitudine, ed è proprio al regista statunitense che lo spettacolo di fine anno
della scuola Jona ha reso omaggio.
Guidati dalla regia creativa del professor Dario Inserra, lo
scorso 30 maggio trentatré artisti esordienti, di cui alcuni ex allievi, hanno
gettato il cuore oltre l’ostacolo e si sono presi la scena del Palco 19 di Asti
per interpretare la sceneggiatura della prof.ssa Roberta Pucciariello e ballare
le coreografie della prof.ssa Valeria Parello, il tutto accompagnato dalle
scenografie e dal supporto di tutti i docenti che hanno collaborato: Beatrice
Bella, Marianna Rosella, Gaspare Licandro, Milo Trombin, Gianluca Assandri,
Piergiacomo Di Leonardo e Giulia Cenerario.
La performance degli attori ha tenuto incollati al palco gli
spettatori dal primo all’ultimo minuto: all’apertura del sipario, il nostro
regista è seduto ad una sobria scrivania, intento a scrivere una lettera
indirizzata a un personaggio un po’ autobiografico, Vincent, bambino di
sette anni che sogna di essere come il suo attore preferito. Nella solitudine della
sua camera, il regista si confida: “Caro Vincent, la forte sensazione di
solitudine o di essere un estraneo, per chi l’ha provata, credo sia qualcosa
che non ti lascia mai del tutto”.

Emerge così la “mostruosa” umanità degli esclusi che si rifugiano
nel mito per fuggire da una realtà che li considera diversi, come Victor, il
secondo personaggio che tra nubi di fumo compare sulla scena. Il racconto si
sposta quindi sul film d’animazione Frankenweenie, parodia del noto
romanzo di Mary Shelly, dove un ragazzo usa la scienza per riportare in vita il
proprio cane Sparky. Il bambino ripropone il tema dello scienziato che cerca di
piegare le leggi della natura alla sua volontà, seguendo lo schema del genere
gotico che enfatizza la “creatura” come esempio del sublime, del diverso e che,
in quanto tale, incute terrore.
A chiudere la scena di tensione sono tre sinuose feline che con
grazia e movimenti sincroni stemperano il clima di terrore ballando sulle note
di “The lonely Shepherd” di Ennio Morricone.
Gli emarginati però non sono solo creature deformi e mostruose ma
possono essere semplicemente adulti eccentrici che si comportano come bambini,
come lo strano uomo in “Pee-wee’s big adventure” che ama la sua bici più
di ogni altra cosa al mondo. Sarà il furto della sua bicicletta a generare in
lui un turbinio di emozioni incontrollate, che lo porteranno a tentare
qualsiasi cosa, anche la più assurda, pur di recuperarla, enfatizzando così la
visione della vita del regista, che, come il protagonista, rifugge la realtà ma
sempre con il sorriso, così come recita il testo della canzone “Smile”
di Charlie Chaplin.

Rifuggiamo il diverso perché è più difficile da comprendere,
poiché ci destabilizza e ci toglie certezze, come quella del Natale che in “Nightmare
before Christmas” vede riflettere Jack Skeleton, re delle zucche della
città di Halloween, sul fatto di continuare o meno a vivere spaventando la
gente. Jack compie un viaggio per osservare che cos’è il Natale e poi torna nel
proprio mondo per raccontare ciò che ha visto: “il loro capo vola in cielo con
una slitta trainata da animali mostruosi e ha chele al posto delle mani” e
conclude dicendo che per comprendere veramente il Natale deve sostituirsi al
loro capo, ribattezzato Babbo Nachele per darne una raffigurazione freak, così
ingaggia tre bambini mostruosi per rapirlo. Il duello tra i due re si trasforma
in una contesa canora e, a colpi di battute rap, il “sono io il re” si
trasforma in “siamo noi i re” con abbraccio finale.

Il messaggio dei nostri giovani artisti è che l’amore è più
importante di ogni cosa e ognuno di noi dovrebbe seguire la sua vocazione.
Sul filone della fantasia e dello stupore si inserisce anche la
scena dei ragazzi invitati a visitare “La fabbrica di cioccolato” dell’eccentrico
signor Willy Wonka, che accoglie con passi gioiosi di danza i giovani
visitatori. Qui però emerge un messaggio più profondo relativo ai pericoli
dell’avidità e dell’esagerazione, infatti ogni bambino incarna una propria caratteristica:
il goloso che mostra i dolci che porta nello zaino, la capricciosa viziata che
indossa la tuta anche quando non deve fare sport, la vanitosa e ipocrita abituata
a pensare che tutto il mondo ruoti intorno a sé, il pigro e svogliato che
fatica ad alzarsi al mattino e trova tutto noioso, il ragazzo modesto ma
entusiasta di fronte agli stimoli e capace di apprezzare la generosità del
padrone della fabbrica. Alla fine, però, ciascuno dei bambini riceve una
punizione correlata al loro vizio, mentre l’unico bambino buono e gentile riceverà
una ricompensa: il messaggio è che la vera bontà, quella d’animo, viene premiata.
Essere buoni implica anche saper guardare con occhi diversi, saper
comprendere chi è diverso da noi anche perché pensarsi “normali” in questo
mondo è praticamente impossibile.

“Via mostro! va via” urla sulla scena la folla inferocita, spaventata
da quel sinistro personaggio dalle lunghe mani di forbici. Il singolare protagonista
di “Edward mani di forbice”, che si sente emarginato pur non avendo
alcuna colpa, sottolinea la sofferenza e la solitudine di chi è vittima del
pregiudizio. E a volte i pregiudizi non riguardano solo i più deboli, come ci
ricorda Robert Graves nel romanzo storico “Io, Claudio”, imperatore romano noto
a parenti e amici sotto gli appellativi di Claudio l’idiota, Claudio il
Balbuziente, o Cla-Cla-Claudio. “Il mostro è qui! Vorrei trascorrere del tempo
in tranquillità circondato d’amore” recita Edward, invitando la folla spaventata
a riflettere sulle parole di Marcel Proust, che intorno al viaggio di scoperta
specificò che non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi
per guardare. Edward incoraggia le persone a osservare la realtà da una
prospettiva diversa, sottolineando l’importanza delle relazioni con gli altri
nella costruzione della propria personalità. Di per sé, un pregiudizio è solo
un giudizio che viene pronunciato prima di conoscere bene una persona. Potrebbe
rivelarsi corretto oppure infondato o sbagliato, ma sempre bisognerebbe avere
il coraggio di liberarsene, saremo capaci di farlo anche noi? In un’atmosfera
di fiaba incantata si chiude la scena accompagnata dal pas de bourrée di
una giovane danzatrice che tra piroutte, jeté e penché si
adagia ai piedi del sensibile mostro.
A ridestare gli spettatori è poi il balletto delle carte della Regina
di Cuori che, sulla musica di “Zitti e Buoni” dei Måneskin, ci riporta nel
magico mondo di “Alice in Wonderland” dove, parafrasando la canzone
stessa, “siamo fuori di testa, ma diversi da loro”.
In questo caso la diversità dettata dalla follia del cappellaio
matto diventa assai pericolosa, visto che la Regina ha intenzione di tagliargli
la testa. Ma mentre Alice prenderà con coraggio la parola per opporsi al volere
insensato della Regina, sarà proprio il cappellaio matto a farci riflettere
sulla relatività della follia: “la gente vede la follia nella mia colorata
vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità”.

Usciamo dal meraviglioso mondo di Alice sulle note della versione
gotica di Paint it, Black dei Rolling Stones, sapientemente eseguite dall’arpa
di un ex studente della nostra scuola, per entrare nell’atmosfera della
commedia horror-fantasy di Mercoledì, serie televisiva che si rifà a un
personaggio della Famiglia Addams, la giovane Mercoledì che frequenta la scuola
superiore di un’immaginaria cittadina e indaga su una serie di omicidi mentre
fa nuove amicizie. La perspicacia, il sarcasmo e l’inquietudine del personaggio
emergono poi nel balletto corale di fine spettacolo con la versione grottesca
del brano Bloody Mary di Lady Gaga.
“Non, je ne regrette rien” irrompe sonoramente la voce di
Édith Piaf e così ricompare sulla scena il nostro Tim Burton che, rivolgendosi
ancora al suo caro Vincent, ci saluta dicendo che “non si vive per accontentare
gli altri”.
Caro lettore, i pregiudizi vivono in ognuno di noi: si nascondono
nelle pieghe di convinzioni tramandate, di paure malcelate, di sottoculture
ereditate. Spetta a noi riconoscerli e censurarli, per fare spazio alla cultura
dell’accoglienza, dove la diversità è sempre un’occasione per allargare i
confini del nostro mondo interiore.
Complimenti per l’impegno al nostro meraviglioso cast:
Aurelio Amerio, Arwa Boutayeb, Edoardo Bertoia, Sveva Capra, Viola
Cavallaro, Anna Critelli, Karina Dymitruk, Alice e Sofia De Martinis, Iris
Dondi, Leonardo Feroleto, , Noemi Filizzola,
Elisa Garioni, Stefano
Gianti, Ginevra Lattuca, Alessandro
Lavecchia, Irene Longo, Giuseppe Marraieni, Irene Misiano, Anjana Rajapakaha,
Lucia Rosa, Matilde Rossi, Alice Pascariello,
Jacopo Penna, Lucrezia Pesce, Mattia Sardi, Simone Scozzaro, Giulia
Serra, Jasmine Serra, Ambra Scano, Vanessa Stabile, Sveva Viarengo e Leonardo
Zaccarelli.
Recensione a cura di Alessandro Cutelli