mercoledì 7 giugno 2023

Spettacolo teatrale di fine anno

 

Burton nel Paese dei Freaks

Avete mai avuto la sensazione di sentirvi diversi dagli altri? Di essere fuori posto? In qualche modo, emarginati?

Sì, è vero, siamo tutti diversi nella nostra unicità, ma qualche volta la nostra “originalità”, il nostro aspetto fisico, le nostre abitudini personali e persino il nostro credo possono essere d’ostacolo alle relazioni sociali e generare pregiudizi.

Attraverso i suoi film grotteschi, caratterizzati da creature immaginifiche (vocabolo in cui rientra tutto ciò che corre tra il bizzarro e il mostruoso), Tim Burton ci ha sempre fatto riflettere sui temi dell’emarginazione e della solitudine, ed è proprio al regista statunitense che lo spettacolo di fine anno della scuola Jona ha reso omaggio.

Guidati dalla regia creativa del professor Dario Inserra, lo scorso 30 maggio trentatré artisti esordienti, di cui alcuni ex allievi, hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e si sono presi la scena del Palco 19 di Asti per interpretare la sceneggiatura della prof.ssa Roberta Pucciariello e ballare le coreografie della prof.ssa Valeria Parello, il tutto accompagnato dalle scenografie e dal supporto di tutti i docenti che hanno collaborato: Beatrice Bella, Marianna Rosella, Gaspare Licandro, Milo Trombin, Gianluca Assandri, Piergiacomo Di Leonardo e Giulia Cenerario.

La performance degli attori ha tenuto incollati al palco gli spettatori dal primo all’ultimo minuto: all’apertura del sipario, il nostro regista è seduto ad una sobria scrivania, intento a scrivere una lettera indirizzata a un personaggio un po’ autobiografico, Vincent, bambino di sette anni che sogna di essere come il suo attore preferito. Nella solitudine della sua camera, il regista si confida: “Caro Vincent, la forte sensazione di solitudine o di essere un estraneo, per chi l’ha provata, credo sia qualcosa che non ti lascia mai del tutto”.

Emerge così la “mostruosa” umanità degli esclusi che si rifugiano nel mito per fuggire da una realtà che li considera diversi, come Victor, il secondo personaggio che tra nubi di fumo compare sulla scena. Il racconto si sposta quindi sul film d’animazione Frankenweenie, parodia del noto romanzo di Mary Shelly, dove un ragazzo usa la scienza per riportare in vita il proprio cane Sparky. Il bambino ripropone il tema dello scienziato che cerca di piegare le leggi della natura alla sua volontà, seguendo lo schema del genere gotico che enfatizza la “creatura” come esempio del sublime, del diverso e che, in quanto tale, incute terrore.

A chiudere la scena di tensione sono tre sinuose feline che con grazia e movimenti sincroni stemperano il clima di terrore ballando sulle note di “The lonely Shepherd” di Ennio Morricone.

Gli emarginati però non sono solo creature deformi e mostruose ma possono essere semplicemente adulti eccentrici che si comportano come bambini, come lo strano uomo in “Pee-wee’s big adventure” che ama la sua bici più di ogni altra cosa al mondo. Sarà il furto della sua bicicletta a generare in lui un turbinio di emozioni incontrollate, che lo porteranno a tentare qualsiasi cosa, anche la più assurda, pur di recuperarla, enfatizzando così la visione della vita del regista, che, come il protagonista, rifugge la realtà ma sempre con il sorriso, così come recita il testo della canzone “Smile” di Charlie Chaplin.

Rifuggiamo il diverso perché è più difficile da comprendere, poiché ci destabilizza e ci toglie certezze, come quella del Natale che in “Nightmare before Christmas” vede riflettere Jack Skeleton, re delle zucche della città di Halloween, sul fatto di continuare o meno a vivere spaventando la gente. Jack compie un viaggio per osservare che cos’è il Natale e poi torna nel proprio mondo per raccontare ciò che ha visto: “il loro capo vola in cielo con una slitta trainata da animali mostruosi e ha chele al posto delle mani” e conclude dicendo che per comprendere veramente il Natale deve sostituirsi al loro capo, ribattezzato Babbo Nachele per darne una raffigurazione freak, così ingaggia tre bambini mostruosi per rapirlo. Il duello tra i due re si trasforma in una contesa canora e, a colpi di battute rap, il “sono io il re” si trasforma in “siamo noi i re” con abbraccio finale.

Il messaggio dei nostri giovani artisti è che l’amore è più importante di ogni cosa e ognuno di noi dovrebbe seguire la sua vocazione.

Sul filone della fantasia e dello stupore si inserisce anche la scena dei ragazzi invitati a visitare “La fabbrica di cioccolato” dell’eccentrico signor Willy Wonka, che accoglie con passi gioiosi di danza i giovani visitatori. Qui però emerge un messaggio più profondo relativo ai pericoli dell’avidità e dell’esagerazione, infatti ogni bambino incarna una propria caratteristica: il goloso che mostra i dolci che porta nello zaino, la capricciosa viziata che indossa la tuta anche quando non deve fare sport, la vanitosa e ipocrita abituata a pensare che tutto il mondo ruoti intorno a sé, il pigro e svogliato che fatica ad alzarsi al mattino e trova tutto noioso, il ragazzo modesto ma entusiasta di fronte agli stimoli e capace di apprezzare la generosità del padrone della fabbrica. Alla fine, però, ciascuno dei bambini riceve una punizione correlata al loro vizio, mentre l’unico bambino buono e gentile riceverà una ricompensa: il messaggio è che la vera bontà, quella d’animo, viene premiata.

Essere buoni implica anche saper guardare con occhi diversi, saper comprendere chi è diverso da noi anche perché pensarsi “normali” in questo mondo è praticamente impossibile.

“Via mostro! va via” urla sulla scena la folla inferocita, spaventata da quel sinistro personaggio dalle lunghe mani di forbici. Il singolare protagonista di “Edward mani di forbice”, che si sente emarginato pur non avendo alcuna colpa, sottolinea la sofferenza e la solitudine di chi è vittima del pregiudizio. E a volte i pregiudizi non riguardano solo i più deboli, come ci ricorda Robert Graves nel romanzo storico “Io, Claudio”, imperatore romano noto a parenti e amici sotto gli appellativi di Claudio l’idiota, Claudio il Balbuziente, o Cla-Cla-Claudio. “Il mostro è qui! Vorrei trascorrere del tempo in tranquillità circondato d’amore” recita Edward, invitando la folla spaventata a riflettere sulle parole di Marcel Proust, che intorno al viaggio di scoperta specificò che non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi per guardare. Edward incoraggia le persone a osservare la realtà da una prospettiva diversa, sottolineando l’importanza delle relazioni con gli altri nella costruzione della propria personalità. Di per sé, un pregiudizio è solo un giudizio che viene pronunciato prima di conoscere bene una persona. Potrebbe rivelarsi corretto oppure infondato o sbagliato, ma sempre bisognerebbe avere il coraggio di liberarsene, saremo capaci di farlo anche noi? In un’atmosfera di fiaba incantata si chiude la scena accompagnata dal pas de bourrée di una giovane danzatrice che tra piroutte, jeté e penché si adagia ai piedi del sensibile mostro.

A ridestare gli spettatori è poi il balletto delle carte della Regina di Cuori che, sulla musica di “Zitti e Buoni” dei Måneskin, ci riporta nel magico mondo di “Alice in Wonderland” dove, parafrasando la canzone stessa, “siamo fuori di testa, ma diversi da loro”.

In questo caso la diversità dettata dalla follia del cappellaio matto diventa assai pericolosa, visto che la Regina ha intenzione di tagliargli la testa. Ma mentre Alice prenderà con coraggio la parola per opporsi al volere insensato della Regina, sarà proprio il cappellaio matto a farci riflettere sulla relatività della follia: “la gente vede la follia nella mia colorata vivacità e non riesce a vedere la pazzia nella loro noiosa normalità”.

Usciamo dal meraviglioso mondo di Alice sulle note della versione gotica di Paint it, Black dei Rolling Stones, sapientemente eseguite dall’arpa di un ex studente della nostra scuola, per entrare nell’atmosfera della commedia horror-fantasy di Mercoledì, serie televisiva che si rifà a un personaggio della Famiglia Addams, la giovane Mercoledì che frequenta la scuola superiore di un’immaginaria cittadina e indaga su una serie di omicidi mentre fa nuove amicizie. La perspicacia, il sarcasmo e l’inquietudine del personaggio emergono poi nel balletto corale di fine spettacolo con la versione grottesca del brano Bloody Mary di Lady Gaga.

Non, je ne regrette rien” irrompe sonoramente la voce di Édith Piaf e così ricompare sulla scena il nostro Tim Burton che, rivolgendosi ancora al suo caro Vincent, ci saluta dicendo che “non si vive per accontentare gli altri”.

Caro lettore, i pregiudizi vivono in ognuno di noi: si nascondono nelle pieghe di convinzioni tramandate, di paure malcelate, di sottoculture ereditate. Spetta a noi riconoscerli e censurarli, per fare spazio alla cultura dell’accoglienza, dove la diversità è sempre un’occasione per allargare i confini del nostro mondo interiore. 

 

Complimenti per l’impegno al nostro meraviglioso cast:

Aurelio Amerio, Arwa Boutayeb, Edoardo Bertoia, Sveva Capra, Viola Cavallaro, Anna Critelli, Karina Dymitruk, Alice e Sofia De Martinis, Iris Dondi, Leonardo Feroleto, , Noemi Filizzola,  Elisa Garioni,  Stefano Gianti,  Ginevra Lattuca, Alessandro Lavecchia, Irene Longo, Giuseppe Marraieni, Irene Misiano, Anjana Rajapakaha, Lucia Rosa, Matilde Rossi, Alice Pascariello,  Jacopo Penna, Lucrezia Pesce, Mattia Sardi, Simone Scozzaro, Giulia Serra, Jasmine Serra, Ambra Scano, Vanessa Stabile, Sveva Viarengo e Leonardo Zaccarelli.

Recensione a cura di Alessandro Cutelli



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